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Curiosità dal mondo dell’arte

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Inauguriamo oggi una nuova rubrica di curiosità dal mondo dell’arte.
Molti conoscono i nomi dei più famosi pittori e degli artisti più stravaganti, ma sono le storie nascoste, quelle che veramente ci fanno appassionare. Per cui, nelle nostre pagine Facebook e Instagram, pubblicheremo le curiosità più interessanti, quelle che non tutti sanno, che ci faranno scoprire nuovi risvolti.
Questa pagina sarà aggiornata costantemente, per cui seguite i social o tornate a trovarci spesso!

L’orecchio di Van Gogh

Il fatto: “La sera del 23 dicembre 1888, ad Arles, Vincent Van Gogh si tagliò un orecchio con un rasoio, lo avvolse in un foglio di giornale e lo fece recapitare a una donna, forse una prostituta”. Questa è la versione ufficiale, quella più plausibile. Si propende per l’autolesionismo dell’artista, che soffriva di varie patologie oltre che di ristrettezze economiche. Si riteneva che questo gesto servisse all’artista per richiamare l’attenzione di suo fratello, oppure che si fosse accorto, allo specchio, di una mancanza di equilibrio tra il lato sinistro ed il lato desto del viso, che lo rese inquieto ed insofferente. Nessuno ha certezze e questo lascia tutt’ora aperta la discussione.

Recentemente, sono avanzate nuove ipotesi, tra cui ritenere che Van Gogh si stato vittima di un’altra persona affetta da turbe psichiche che, per invidia o follia, lo aggredì e deturpò in modo spregevole. A questa ipotesi si è giunti analizzando le opere che Van Gogh ha creato in quel periodo. Nulla lascia trapelare uno stato psicologico turbato ed afflitto; anzi i suoi dipinti dell’epoca mostravano una fase di tranquillità. Nemmeno i recenti studi sugli appunti del medico che curarono la ferita riescono a fare luce sulle cause dell’evento. Qui sono riportati solo i danni che il pittore aveva subito, la constatazione post trauma ma non le modalità. Vedremo se il tempo riuscirà a portare nuovi elementi a questo mistero.

I simboli nascosti di Jean Michel Basquiat

Oggi parliamo di Jean Michel Basquiat. Questo giovane artista afroamericano che visse una carriera artistica breve, ma molto intensa (1960-1988). Infatti, solo agli inizi degli anni ’80 riuscì ad emergere nel panorama artistico americano e successivamente in quello europeo e mondiale. Inizialmente si firmò con lo pseudonimo SAMO, per poi passare al suo vero nome e cognome di Jean Micheal Basquiat.

Le sue opere, basate su disegni elementari, spesso circondati di scritte e simboli, in particolare uomini neri e corone, ma anche teschi, furono denigrate e sbeffeggiate dal mondo della critica. Questo accadde soprattutto in Europa ed in particolare a Modena in Italia, dove fece la prima apparizione europea nel 1981.

Però, solo pochi anni dopo, anche sull’onda del notevole successo negli USA, le sue opere ebbero una repentina rivalutazione. Il successo, però, contribuì anche ad ucciderlo, per un’overdose di droga nel 1988. Da allora le sue quotazioni non hanno fatto altro che crescere.

I suoi quadri hanno segnato i record mondiali in fatto di vendita all’asta con 93 e 110, 5 milioni di dollari e a tutt’oggi (2021) considerato l’artista più richiesto al mondo e le aste dei suoi quadri segnano continui rialzi.

Solo nel 1999, Emily Macdonald-Korth, conservatrice d’arte a New York, esponendo alcune opere, che stava verificando, alla luce ultravioletta, si accorse che Basquiat aveva messo sotto le sue pitture una serie di simboli invisibili ad occhio nudo di cui a tutt’oggi nessuno conosce il significato. Anche perché, l’artista amava dipingere ed incidere sui suoi lavori numerosi disegni e simboli in bella vista.

La fondazione ufficiale che curava il catalogo e la valutazione delle sue opere chiuse dopo pochi anni, avendo certificato moltissime opere e ritenendo che quelle certificate fossero sufficienti per gli esperti per valutare eventuali pezzi sconosciuti. In realtà, ad oggi, i pezzi riconosciuti sono pochissimi, proprio per la mancanza di un ente certificatore affidabile. Più che una curiosità dal mondo dell’arte, anche in questo caso si può parlare di mistero.

Le ninfee di Monet

Claude Monet, tra i grandi pittori a cavallo tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 è presente con le sue opere nei musei più importanti del Mondo.

I suoi quadri ritraggono spesso panorami naturali con una grande predilezione per i fiori e in particolare per le ninfee.

Monet si trasferì nel 1883 a Givenchy, un paesino vicino Parigi, e il suo grande amore per i fiori lo portò  a realizzare uno spettacolare giardino, in cui piantò fiori di ogni tipo. In particolare, fece realizzare un piccolo bacino fluviale dove coltivare le sue amate ninfee.

Fino al 1929, anno della sua morte, ne raffigurò oltre 250.

Le ninfee erano il suo amore e al contempo la sua ossessione, perché in ogni quadro cercava di dare sempre il meglio di se, sempre insoddisfatto, alla ricerca della precisione. In realtà, furono proprio le Ninfee a dargli il successo, quando nel 1909 fece una prima esposizione in una mostra tenutasi presso la Galleria Durand-Ruel con il titolo Ninfee, paesaggi d’acqua. Monet ricevette i complimenti di moltissimi personaggi che intervennero all’esposizione: dallo scrittore Lucien Descaves che scrisse «Esco dalla vostra mostra abbagliato e meravigliato!» a Romand Roilland che gli inoltrò una missiva dove ammise «Quando sono disgustato per la mediocrità della letteratura e della musica attuali, non ho che da voltarmi verso le vostre Ninfee per riconciliarmi con la mia epoca …». Anche il celebre letterato francese Marcel Proust rimase colpito dalla bellezza dell’opera di Monet a cui dedicò frasi di poetico elogio.

Quel che è certo, è che a quasi 100 anni dalla sua morte, le Ninfee di Monet, sono ancora un sogno per i collezionisti, valutate milioni di euro e nessuno si è mai stancato di ammirarle.

I “falsi” di Alberto Giacometti

Alberto Giacometti è un artista del ‘900 rimarrà nella storia dell’arte per le sue statue, in particolare per “Homme qui marche” (L’uomo che cammina) realizzato in molte copie, ma sempre conteso tra i collezionisti a suon di milioni, anzi, di centinaia di milioni. L’opera ha infatti raggiunto il valore di 145 milioni di dollari.

Ma questa volta non parleremo dell’artista, per quanto famoso e importante sia stata la sua carriera e la sua creatività, ma di contraffazione delle sue opere.

Infatti non tutti sanno che, proprio a causa del valore sul mercato dell’arte, molti truffatori, si sono buttati a capofitto nell’impresa di contraffare le sue opere. Tra tutti ne citiamo uno in particolare che per la sua abilità e costanza ha raggiunto anche la fama e per un lungo periodo di tempo è rimasto totalmente impunito: parliamo di Robert Driessen, 54enne originario dell’Olanda.

Questo personaggio iniziò quasi per scherzo a copiare le opere di Giacometti, di cui era anche un estimatore. Sempre per caso, un suo conoscente vedendole e non sapendo da chi fossero state realizzate, le prese per autentiche, indirizzando di fatto il signor Driessen sulla strada della contraffazione.

Si dice che Driessen abbia accumulato oltre 8 milioni di euro di profitti vendendo le sue copie che, a un certo punto, come lui stesso ammise in un documentario a lui dedicato, “erano talmente brutte e fatte male che ancora non capisco come riuscissero a comprarle”. Fatto sta che per un lungo periodo l’attività truffaldina portò frutti cospicui che, abbinati ad una residenza in riva al mare in Thailandia, dove aveva aperto anche un caffè, lo tennero alla larga dalle galere di mezza Europa. Infatti, allarmata dal proliferare di queste copie, spesso fatte male, anche la polizia lo stava cercando.

Solo alcuni anni fa con uno stratagemma, che costrinse l’olandese a uno scalo in Germania, riuscirono a arrestarlo e quindi a giudicarlo e condannarlo per truffa e falsificazione. In tutto ciò, sicuramente alcune delle sue opere firmate “Giacometti” sono ancora ben custodite in qualche collezione privata, con i proprietari del tutto ignari del loro vero creatore.

Le stravaganze di Salvador Dalì

Se parliamo di curiosità dal mondo dell’arte, non possiamo non nominare Salvator Dalì, uno degli artisti più stravaganti che il Mondo abbia conosciuto. La sua arte surreale seguita a stupire per i suoi effetti onirici, per quel modo assolutamente originale ed unico di comporre le sue opere.

Molti, forse, lo ricorderanno anche per il suo aspetto, molto altero, con un paio di caratteristici baffi lunghi e sottili rivolti all’insù. Era un artista difficile da trattare in quanto il suo ego smisurato lo portava spesso e volentieri a esternazioni poco gradevoli nei confronti dei colleghi e della gente in genere.

Ovviamente, questo non gli impediva di amare le apparizioni in pubblico. Ad esempio una volta si presentò vestito da palombaro, era il 1936 a Londra. Il suo scopo era mostrare al pubblico ed ovviamente ai giornalisti, che come artista lui si sentiva in un mondo tutto suo, dove gli altri non erano in grado di arrivare. Non aveva calcolato che la tuta da palombaro, oltre al peso, non fa passare l’aria. Di conseguenza, l’artista iniziò a sentire gli effetti nefasti, a muoversi in maniera scomposta. Il pubblico, abituato alle sue stravaganze, non interpretò questo comportamento come una richiesta di aiuto, bensì come un modo dell’artista per esternare la sua diversità artistica.

Fortunatamente qualcuno se ne rese conto in tempo, salvandolo da una morte certa, ma quella apparizione rimase negli annali.

Chi ha avuto il piacere di osservare le opere di Dalì, avrà osservato che in alcune di esse c’è una tigre. Non si tratta di una casualità, ma il frutto di un dono che l’artista ricevette negli anni Sessanta. Il nome dell’animale era Babou, e l’artista ne era follemente innamorato, al punto da portarlo costantemente con se e di conseguenza ritrarlo nei suoi quadri. Ovviamente, le persone che lo frequentavano non ne erano molto entusiaste, data anche la stazza dell’animale, ma il pittore lo considerava come un gatto dalle dimensioni un po’ più importanti dei suoi lontani cugini felini.

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